L’Italia è un Paese che invecchia anno dopo anno e aumenta anche il numero di grandi anziani con patologie croniche o condizioni di fragilità che li rendono non autosufficienti e per i quali non è più possibile la cura in casa, neanche con dispositivi di ultima generazione come i salvavita per anziani Seremy.
Pochi sanno tuttavia che per pagare la retta “alberghiera” delle RSA si può chiedere un contributo al Comune e che malati di Alzheimer o con malattie gravi non pagano nulla. Vediamo di fare chiarezza, ricordando che se l’anziano vive solo ed è sufficiente il migliore alleato di famigliari e caregiver è il braccialetto salvavita Seremy.
Quando si paga la retta delle RSA e cosa si paga?
Le prestazioni sanitarie fornite nelle RSA, sia pubbliche che private convenzionate, sono sempre gratuite per tutti gli ospiti, poiché coperte dal Servizio Sanitario Nazionale. Tuttavia, la quota alberghiera (che include vitto, alloggio e altri servizi come lavanderia), pari generalmente al 50% della retta, è a carico dei pazienti o delle loro famiglie, salvo alcune eccezioni che verranno trattate successivamente. Questa quota può arrivare fino a 1.800 euro al mese.
Cosa accade se il paziente o la famiglia non possono permettersi tale spesa? In questo caso, il Comune può farsi carico della quota di compartecipazione per coloro che rientrano in un determinato livello di reddito (ISEE socio-sanitario), previa presentazione di una richiesta ai Servizi Sociali del Comune di residenza.
Per il contributo comunale serve sempre l’ISEE
Non tutti sanno che la presentazione dell’ISEE socio-sanitario è l’unico strumento per richiedere il contributo comunale per coprire la quota alberghiera della retta in una RSA. Ciò significa che, se non si presenta questo documento, non si ha diritto al contributo, anche se i requisiti economici lo permetterebbero.
Ogni Comune, comunque, adotta un proprio regolamento che stabilisce i criteri per l’«integrazione della retta» e per fornire supporto economico alle famiglie dei ricoverati. In base all’ISEE, il Comune può decidere che una parte della quota alberghiera (pari al 50% della tariffa totale) sia a carico della persona non autosufficiente. Per esempio, se la tariffa è di 100 euro, 50 euro sono coperti dalla Asl, mentre i restanti 50 euro possono essere integralmente o parzialmente a carico del paziente, in base al suo ISEE: potrebbe pagare l’intero importo, 20 euro, o anche nulla.
Quali pazienti anziani sono esentati al 100% dal pagamento della retta “alberghiera”
Fin qui abbiamo esaminato la regola generale riguardo ai criteri di ripartizione della retta nelle RSA. Tuttavia, esistono casi in cui nulla è dovuto, nemmeno la parte alberghiera della retta. Recenti sentenze della Corte di Cassazione hanno confermato questa posizione, specificando che per i pazienti gravemente malati di Alzheimer e demenza senile, anche la quota alberghiera è coperta dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN). In questi casi, non è possibile richiedere alcun pagamento ai familiari—coniugi, figli o nipoti—anche se hanno firmato un impegno di pagamento con la RSA; tale impegno è considerato «nullo» dai giudici, i quali hanno disposto il rimborso degli importi eventualmente versati dai parenti.
L’avvocato Giovanni Franchi ha commentato: «È una sentenza importante perché ribadisce che i costi di compartecipazione alla spesa alberghiera non devono essere sostenuti dai pazienti o dai loro familiari. In patologie come l’Alzheimer, infatti, non si possono separare le attività socio-assistenziali da quelle sanitarie, pertanto tali costi ricadono sul SSN».
Questa posizione è confermata anche dal Ministero della Salute, che ha dichiarato al Corriere Salute: «Diverse sentenze pronunciate da Tribunali hanno stabilito che i costi del ricovero in RSA sono totalmente a carico del Servizio Sanitario Nazionale quando il ricovero riguarda un paziente non autosufficiente grave, e costituisce l’unica possibilità per curarlo e mantenerlo in vita, non semplicemente un’alternativa all’assistenza familiare».
Rispettare il diritto alla salute: va fatto anche se le risorse mancano
Se le persone affette da malattie croniche e non autosufficienti, o i loro familiari, decidono di rivolgersi a un giudice per violazione del diritto alla salute, come spiega Francesco Pallante, professore di Diritto costituzionale all’Università di Torino, esiste ormai una vasta casistica in cui le ASL sono state condannate a restituire le somme versate.
Inoltre, il giurista sottolinea che, secondo la Corte Costituzionale, la mancanza di finanziamenti non giustifica in alcun modo la mancata attuazione, anche parziale, del diritto alla salute. Questo principio ribadisce l’importanza di garantire l’accesso alle cure e ai servizi necessari, a prescindere dalle limitazioni economiche del sistema sanitario.
Se, invece, il genitore o il parente anziano è ancora capace di vivere solo, uno strumento efficace per la tranquillità di famigliari e care giver è il bracciale salvavita Seremy con pulsante SOS, alert in caso di caduta e allontanamento dalle zone di guardia e monitoraggio dei parametri vitali.
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